lunedì 20 gennaio 2014

L’IRRUZIONE DELL’ACCORDO DEL 10 GENNAIO NEL CONGRESSO CGIL


di Andrea Martini
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Il brutale accordo di venerdì 10 gennaio, il cosiddetto “Testo unico sulla rappresentanza” sottoscritto senza alcuna discussione preventiva da Cgil, Cisl e Uil assieme alla Confindustria, è piombato sul 17° congresso della Cgil, un congresso apertosi nell’indifferenza diffusa e caratterizzato dalla ritrovata unità tra la maggioranza “camussiana” e gran parte di quella che fu “La Cgil che vogliamo” che presentò un documento alternativo nel precedente congresso.

Come è noto, a collocarsi in una posizione radicalmente alternativa sono stati solo le/i sostenitrici/tori del documento “Il sindacato è un’altra cosa”, presentato da Giorgio Cremaschi e da altri cinque componenti del direttivo nazionale confederale.
Questo documento, partendo dall’analisi della disastrosa situazione delle lavoratrici e dei lavoratori e identificando nella complicità e nella rassegata inerzia dei sindacati e della Cgil una delle responsabilità principali delle sconfitte accumulatesi nel corso degli ultimi anni, chiede alla Cgil una radicale revisione autocritica della linea degli ultimi anni e avanza un insieme di proposte che delineano un vero e proprio progetto e un programma alternativo.

Il quadro di dibattito nella Cgil è aggravato dal fatto che, come ricordavamo poco sopra, anche il gruppo dirigente della Fiom ha ritenuto di chiudere il contenzioso che si era aperto all’altro congresso, convergendo, seppure con qualche differenziazione emendativa, sul documento di Susanna Camusso.
Il documento di maggioranza, placidamente intitolato “Il lavoro decide il futuro”, infatti ha un approccio giustificazionista e continuista che, con il pretesto che di fronte alla crisi non si potrebbe chiedere di più, avalla e accetta tutte le peggiori sconfitte degli ultimi anni, dalla controriforma Fornero delle pensioni alla manomissione dell’articolo 18, mettendo al centro della politica di Corso d’Italia l’unità con Cisl e Uil, e, dunque, l’accettazione della loro complicità con padroni e governi.
Il fatto che Maurizio Landini e i suoi, dopo aver praticato, almeno a Pomigliano e Mirafiori, una linea che si contrapponeva frontalmente a Marchionne e agli accordi separati di Fim e Uilm e che rompeva con il possibilismo della maggioranza, abbiano scelto di convergere con Susanna Camusso e di concordare la costruzione di un congresso “unitario” è la misura di quanto il gruppo dirigente della Fiom abbia abbandonato ogni velleità di alternatività all’interno della Confederazione.

L’idea era quella di convergere con la maggioranza Cgil anche per accontentare le pulsioni più moderate di tanti funzionari Fiom stanchi di una linea “troppo” alternativa e che limitava le loro possibilità di riciclarsi nell’apparato confederale e nello stesso tempo di far apparire il leader dei metalmeccanici come un candidato credibile ai massimi livelli di direzione della Cgil.
Ma questa volta Landini ha fatto flop. Con una miopia che dimostra l’inadeguatezza anche “tattica” della sua linea, non ha capito le conseguenze di quello che era stato il passo formale più importante del suo riavvicinamento alla maggioranza, e cioè l’accettazione dell’accordo del 31 maggio 2013, un’accettazione in contrasto stridente con la precedente opposizione al suo gemello del 28 giugno 2011. Ha pensato che si sarebbe trattato di conseguenze gestibili all’interno del congresso “unitario”.
Invece, il “testo unico sulla rappresentanza” irrompe come un treno in quel congresso inducendo la segreteria nazionale della Fiom a tentare di “sospendere” il congresso perlomeno in attesa del previsto pronunciamento critico che mercoledì 16 assumerà il Comitato centrale.
I contenuti di fondo di questo testo unico, seppure già ampiamente preannunciati dall’accordo di fine maggio 2013, sono di una gravità inaudita:
  1. in primo luogo si stabilisce con estrema chiarezza che i diritti sindacali spettano solo alle organizzazioni sindacali confederali e/o di categoria che accettano e sottoscrivono integralmente tale testo unico. Questo criterio che già Marchionne aveva voluto imporre a Pomigliano (e poi in altre fabbriche) con i noti accordi separati era stato smentito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 23 luglio 2013. Ma, indifferenti alla necessità di rispettare almeno le sentenze della massima corte, Camusso, Bonanni e Angeletti hanno deciso di ribadire quanto sostenuto dalla Fiat negli scorsi anni.
  2. il testo unico riconferma la possibilità di stipulare accordi peggiorativi (in deroga) ai contratti nazionali, possibilità già prospettata dall’accordo del giugno 2011. Tali deroghe potranno riguardare ogni materia dei contratti, dalla prestazione lavorativa agli orari.
  3. quanto alla cosiddetta “esigibilità” degli accordi si riconferma che quelli stipulati secondo le regole del “testo unico” non saranno impugnabili né contrastabili, pena sanzioni per le organizzazioni ribelli e per i loro delegati. In base a questa norma nel 2010 avrebbe avuto ragione Marchionne nella sua volontà di punire la Fiom e i sindacati di base che cercarono di contrastare l’accordo separato di Fim e Uilm.
  4. infine, il testo unico istituisce una sorta di “tribunale sindacale” che valuterà e sanzionerà i comportamenti dei sindacati e dei delegati “ribelli”, un tribunale composto per la sua totalità da sostenitori della più completa “esigibilità” padronale degli accordi (tre rappresentanti delle confederazioni firmatarie, tre rappresentanti di Confindustria e un presidente “esterno” ed “esperto”, deciso e scelto congiuntamente dagli altri componenti il giurì…).
Anche sul piano del metodo la sottoscrizione di questo Testo unico, almeno per la Cgil rappresenta una grossolana forzatura delle regole statutarie. Nessuno nella Cgil (salvo i pochissimi dirigenti direttamente coinvolti nella trattativa) era al corrente del confronto in corso su queste materie, né esisteva un qualche mandato di merito deciso e deliberato dagli organismi statutari della Confederazione. Tantomeno si sapeva dell’imminenza della stipula di un accordo di questo tipo.
Il carattere semisegreto della trattativa era evidentemente finalizzato proprio a mettere la Fiom e il suo gruppo dirigente con le spalle al muro. A far precipitare l’accordo in un quadro congressuale che vedeva Landini e i suoi incatenati all’accordo di vertice stipulato con Susanna Camusso per la gestione “unitaria” del 17° congresso.
Infatti le prime notizie sull’accordo sono arrivate in ambito Cgil da indiscrezioni trapelate dalla Cisl nella quale, al contrario, già durante la settimana scorsa, erano state organizzate riunioni di illustrazione delle ipotesi di testo unico. E la pubblicazione dell’accordo è avvenuta prima sul sito della Cisl e solo poi, sabato 11, su quello della Cgil, quando ormai molti giornali cartacei o online avevano dato conto della sua stipula.
Ora la Fiom, con un comunicato di Landini, prende le distanze da questo testo e chiede che ne venga sospesa la sottoscrizione. La lettura che Landini ne fa converge con il giudizio che anche noi diamo nel merito. Il problema è che lui pretende di vedere contraddizioni tra questo testo unico e l’accordo del 31 maggio, contraddizioni che, invece, non ci sono.
Il quadro del congresso Cgil dunque viene sconvolto dall’accordo del 10 gennaio. Al momento in cui scriviamo non sappiamo quali saranno gli sviluppi e gli approdi concreti.
Già accadde in passato che alcuni congressi fossero sconvolti dagli avvenimenti. Nel 1991 il 12° congresso già convocato venne rinviato di un anno a causa dello scoppio della prima guerra del Golfo e della lacerante discussione che si aprì nelle file della Cgil. Analogamente il 13° venne rinviato per la discussione che si aprì sulla decisione della Cgil di sottoscrivere la riforma Dini delle pensioni.
Nei prossimi tre giorni si svolgeranno tre riunioni il cui esito inciderà e modificherà il panorama congressuale: mercoledì 15 l’incontro tra tutte le segreterie nazionali delle categorie Cgil per discutere dell’accordo, il giorno successivo, giovedì 16 il Comitato centrale della Fiom che Landini vorrebbe portare a far pronunciare formalmente in modo critico sull’accordo e, infine, venerdì 17 il Comitato direttivo nazionale confederale che dovrà ratificare la firma di Susanna Camusso.
Che cosa accadrà in quei tre consessi non è dato sapere.
Solo una cosa è certa, e cioè che i fatti danno ragione a chi non aveva voluto ascoltare le sirene della gestione unitaria del Congresso Cgil.

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