domenica 12 gennaio 2014

JOB ACT: UN ALTRO “ACT” FILOPADRONALE

di Antonio Moscato da Movimento operaio

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Matteo Renzi, osannato da tutti i media, sferra un attacco a quanto rimane dei diritti dei lavoratori. (a.m.)
Giorgio Cremaschi aveva caratterizzato felicemente la proposta del sindaco di Firenze in un articolo dal titolo incisivo: Renzi, gli avanzi del nuovo, che avevo inserito subito volentieri sul sito. (Vedi la sua dichiarazione).  Se si guardano da vicino le sue esternazioni, si è tentati di ridere e di sovrapporre alla sua immagine reale e alle sue fantasiose “rappresentazioni”,  il ritratto tracciato da Crozza nel “Paese delle meraviglie”. Ma c’è poco da ridere. Di giocolieri della parola ce ne sono non pochi, dentro e fuori il parlamento, ma se uno finisce per essere creduto un punto di riferimento da milioni di persone, e viene preso sul serio dal 99% dei mass media, c’è da preoccuparsi.
Così ho avuto la pazienza di analizzare parola per parola il suo strombazzatissimo Jobs Act, direttamente ricalcato, assicurano molti pennivendoli, dall’omonimo progetto di Obama. Il testo integrale è inhttp://www.unita.it/politica/matteo-renzi-segretario-pd-leader-partito-democratico-job-act-lavoro-disoccupazione-1.543813
Sarà, ma anche se ribattezzate con un nome inglese, molte delle proposte identificabili sono tutt’altro che nuove, e corrispondono a quanto è già stato tante volte spacciato per una soluzione dai vari giuslavoristi liberisti… Tra l’altro, significativamente, Pietro Ichino polemizza con Renzi sull’ultima parte del progetto, rimproverandogli superficialità e contraddizioni, e perfino adattamenti alla vulgata della sinistra sugli oltre 40 tipi di forme contrattuali: http://www.pietroichino.it/?p=29542 . Ichino osserva che la proposta del cosiddetto “Assegno universale” esiste già, è stata istituita dalla legge Fornero 28 giugno 2012 n. 92, si chiama Assicurazione Sociale per l’Impiego-ASpI. E si preoccupa che il nuovo Codice del lavoro sia previsto tra 8 mesi e non tre come era stato detto precedentemente. Ichino non riconosce più il suo allievo, insomma.

Analisi del testo
Parto dal preambolo, che si vanta per i successi ottenuti su tutti i piani,a partire dalla legge elettorale, che non è stata fatta, ma è già presentata come un trionfo: “Abbiamo offerto tre ipotesi di lavoro (rivisitazioni del sistema spagnolo, del Mattarellum, del doppio turno).” La legge non c’è, ma ci sono “le  condizioni per definire un accordo” che si ritiene “straordinario”, perché vorrebbe dire “sistemare in un mese quello che non si è fatto negli ultimi otto anni”.
Per questo successo, assicura Renzi, vale la pena di incontrarsi anche con Berlusconi, Grillo o Alfano, sostiene, “purché si chiuda su una cosa che serva agli italiani”; col suo inconfondibile stile precisa che “se deve essere il modo di perdere tempo e prendere un caffè, lo prendo con i miei amici che mi diverto di più. Se serve a chiudere sulla legge elettorale, ci siamo”. Ed ecco sdoganato surrettiziamente il suo vecchio interesse per il dialogo diretto con Berlusconi, mal digerito anche da una parte non indifferente dei suoi sostenitori.
In realtà l’accordo non c’è ancora e le tre ipotesi non avranno vita facile. Ma hanno una cosa in comune: nessuna è proporzionale. In realtà lo aveva detto da tempo, “tutto ma non il proporzionale”. (Vedi Canfora. La truffa del maggioritario).
Renzi vanta, sempre nel preambolo alla legge sul lavoro, anche i consensi ottenuti per altre proposte che ha scelto tra le peggiori in circolazione e ha rilanciato come sue: la soppressione del Senato  e quella delle province. Per il Senato si aggrappa a una tipica chiacchiera da intellettuali pescata sul supplemento della domenica del “Sole 24 Ore”: “coinvolgere i mondi della cultura in questo organismo”. Potrebbe essere una base di discussione, dice, “a condizione che non sia elettivo”. Ma che bella ammissione: i mali dell’Italia dipenderebbero solo dal metodo elettivo…  E infatti anche per la soppressione delle province, già in via di deliberazione al Senato, l’essenziale è la “eliminazione dei politici”. Di quelli eletti dai cittadini, come se quelli designati dall’alto non fossero anche loro politici…
Prosegue poi in un elogio frettoloso degli insegnanti, e in altre chiacchiere che non hanno nulla a che vedere col progetto sul lavoro, ma servono ad avallare l’idea che “menomale che Renzi c’è”. Infatti si prende tutto il merito della marcia indietro del governo sulla mostruosa pretesa di farsi restituire gli scatti cancellati da un decreto presidenziale. Ma questa è solo propaganda contingente, che se ci fosse un’opposizione potrebbe essere ridicolizzata confrontandola con i fatti. Ad esempio con la richiesta di centinaia e perfino migliaia di euro a moltissimi dipendenti del Comune di Firenze, esattamente come ha fatto il Tesoro con gli insegnanti…
Quando si arriva davvero al tema del lavoro, non ci sono sorprese, ma c’è da tremare, fin dalla prima affermazione:“Non sono i provvedimenti di legge che creano lavoro, ma gli imprenditori”. Possibilmente con meno leggi possibili.
E poi ricomincia con vuota retorica sulle meraviglie dell’Italia, che “è un paese che ha una forza straordinaria”, purtroppo mal gestito perché mancava un Renzi, e che ha comunque “le risorse per essere leader in Europa” e addirittura “punto di attrazione nel mondo”, un “mondo che ha fame di bello, quindi di Italia”. Questa forse gliel’ha scritta Crozza.
Ma il problema è che “l’Italia vive un paradosso. Per responsabilità (diffusa) della classe dirigente, abbiamo perso molto tempo. E i dati dell’Istat di oggi – che proiettano una disoccupazione giovanile ai record dal 1977 – sono una fotografia devastante. Bisogna correre, allora. Fermare l’emorragia dei posti di lavoro”.  Come? Non lo dice qui, non lo dice in tutto il testo. Si limita a riproporre il suo elisir (“Il PD crede possibile che il Jobs Act sia uno strumento per aiutare il Paese a ripartire”), e a tornare alle sue idee fisse: legge elettorale ed “eliminazione delle rappresentanze politiche di Province e Senato”. Perché, dice, “se dobbiamo cambiare – e noi dobbiamo cambiare – bisogna partire dalla politica”. Cosa significhi questo per la disoccupazione in genere e quella giovanile in particolare, non lo spiega.
Dice solo che “l’obiettivo è creare posti di lavoro, rendendo semplice il sistema, incentivando voglia di investire dei nostri imprenditori, attraendo capitali stranieri” . Quindi, “Basta ideologia e mettiamoci sotto”! Ma l’ideologia c’è e come, ed è quella liberista.
Il piano si divide in tre parti, composte quasi esclusivamente da elenchi di titoli senza contenuto preciso: la parte sul “Sistema”, ad esempio è composta da 8 articoli di cui alcuni quasi privi di significato, come il 4°.  “Azioni dell’agenda digitale. Fatturazione elettronica, pagamenti elettronici, investimenti sulla rete”. Che vuol dire? Tutto e niente. Ce ne sono altri di articoli così. Ma quando si va sul concreto come nel 1°, dedicato all’Energia, la proposta è di ridurre del 10% il costo per le aziende, e poi c’è la riduzione dell’IRAP sempre per le aziende perché va premiato “chi produce lavoro” (cioè gli imprenditori), naturalmente senza chiarire come verificare che si crei lavoro.
Alcuni punti sono semplicemente oscuri, perché scritti in burocratese stretto: Ad esempio il terzo: “Revisione della spesa. Vincolo di ogni risparmio di spesa corrente che arriverà dalla revisione della spesa alla corrispettiva riduzione fiscale sul reddito da lavoro.”. Il nesso con la creazione di posti di lavoro è misterioso.
Ugualmente non si capisce che ripercussioni sulla disoccupazione avrà la “Eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio”. Lo stesso Renzi parla di “Piccolo risparmio per le aziende” e di “funzioni delle Camere assegnate a Enti territoriali pubblici”. Quali? E a che scopo? E c’è anche la “Eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico”. Probabilmente sarà un cavallo di Troia per giustificare  un’ulteriore smobilitazione del pubblico impiego ai livelli inferiori. In ogni caso, che c’entra col creare occupazione?
Altre misure, presentate come “contro la burocrazia” parlano di “semplificazione amministrativa sulla procedura di spesa pubblica” anche “per le strutture demaniali, sul modello che vale oggi per gli interventi militari.” Eliminazione degli ostacoli e sveltimento delle procedure: che c’entra con l’occupazione?  E gli interventi militari non sono certo un modello di trasparenza, tanto è vero che fin dai primi anni dopo l’Unità d’Italia l’esercito ha sempre gonfiato le spese…
Nasce a questo punto la speranza che dell’occupazione si parli nella parte B, che ha come titolo proprio “I nuovi posti di lavoro” . Ma è presto delusa: tutto quel che dice è solo questo, che riporto integralmente, tanto è breve (anzi vuoto):
Parte B – I nuovi posti di lavoro Per ognuno di questi sette settori, il Jobs Act conterrà un singolo piano industriale con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro.
a) Cultura, turismo, agricoltura e cibo

b) Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers.
c) ICT.
d) Green Economy
e) Nuovo Welfare
f) Edilizia
g) Manifattura
Difficile immaginare cosa si metterà in queste scatole vuote. Anche la parte C, sulle “Regole”, d’altra parte non dà indicazioni concrete. Tranne il punto 1, sulla “semplificazione delle norme” che rinvia però alla “presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero”. Di fatto vuol dire che tra otto mesi verrà definitivamente cestinato quel che resta dello Statuto dei diritti dei lavoratori.
Subito dopo si parla di un “assegno universale per chi perde il posto di lavoro”, anche “per chi oggi non ne avrebbe diritto”, ma “con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro”. Facile immaginare come questa clausola può essere usata in modo punitivo, offrendo un posto in luoghi lontani o a condizioni inaccettabili. E rimane nel vago la durata di questo “assegno universale”, in pratica un’indennità di disoccupazione. Dietro le tante chiacchiere vacue, si intravede l’unico obiettivo concreto, sferrare ancora un colpo all’art. 18 e allo Statuto, per rendere ancora più facili i licenziamenti.
Altre norme sono poco significative, ma l’ultima spiega perché Landini è stato attratto da Renzi. Il punto VI della Parte C sulle regole infatti dice testualmente: “Legge sulla rappresentatività sindacalee presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei CDA delle grandi aziende.” Punto. Quale legge? Che tipo di rappresentanza e a che condizioni? La seconda parte può attrarre Bonanni, la prima ha offerto un’esca a Landini. Non so fino a che punto l’idillio si consoliderà, ma è già una conferma di come si sia chiuso un ciclo della FIOM. Ne avevamo parlato recentemente: vedi Il buon esempio e ancheCremaschi: ha senso partecipare al congresso della CGIL?  Ne riparleremo.
(a.m. 9/1/14)

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