martedì 21 gennaio 2014

LA CATASTROFE CLIMATICA COME FONTE DI PROFITTO

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La catastrofe climatica come fonte di profitto: «le società di Wall Street inve
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stono nei business che traggono profitto dal fatto che il pianeta diventa più caldo»

di Daniel Tanuro
Ministri e burocrati hanno lasciato la Conferenza di Varsavia sul clima felicitandosi di avere fatto progressi verso un accordo mondiale. In realtà non hanno risolto niente di niente. Il vertice ha precisato il meccanismo REDD+ che remunera i proprietari delle foreste per la protezione di queste in quanto pozzi di carbonio (e così favorisce l’appropriazione delle risorse a scapito delle popolazioni!). Ma non si delibera nessun accordo sull’essenziale: la riduzione delle emissioni, il calendario, e la suddivisione dello sforzo in funzione delle responsabilità e delle capacità.
Questo vertice doveva essere quello del finanziamento alla lotta contro il riscaldamento. Scacco. Creato nel 2009 per versare dal 2020 e annualmente 100 miliardi di dollari al Sud, il «fondo verde» contiene solo 17,5 milioni e nessuno sa da dove verrà il resto. Per «fare qualche cosa» davanti all’emozione sollevata dal tifone Haiyan, si è deciso un nuovo fondo «perdite e danni». Lo scopo è di far credere che la situazione è sotto controllo, mentre non lo è per niente. Come ha detto Sir Nicholas Stern(1), che non è un militante ecosocialista: «Le azioni decise sono semplicemente inadeguate rispetto alla gravità della situazione».

ONG e sindacati hanno abbandonato la conferenza per denunciare l’assenza di volontà da parte dei governi. L’Australia, il Giappone e il Canadà sono stati messi sotto accusa per essere venuti meno ai loro impegni. La presidenza polacca è stata messa alla gogna perché Varsavia accoglieva un congresso mondiale del carbone, e il vertice aveva come «partners» Mittal, BMW e altri inquinatori. Queste critiche della politica sono evidentemente giustificate, ma non vanno al fondo delle cose, cioè che il capitale dei settori sporchi è più forte di quello dei settori puliti e tiene il piede sul freno della transizione ecologica.
All’inizio di ottobre, i padroni delle più grandi imprese energetiche europee esigevano il blocco dei sussidi alle rinnovabili e il semaforo verde al gas di scisto. I capitalisti verdi hanno fatto lobbying nell’altro senso, ma il loro peso è limitato (13% della domanda finale) e la loro elettricità più cara. La Tavola Rotonda degli Industriali europei ha dunque appoggiato gli inquinatori e la Commissione ha obbedito, ritta sull’attenti.
Il processo è analogo in tutti i paesi. Alla fine l’incrociarsi della concorrenza tra settori puliti e sporchi e tra potenze fa sì che si va dritti contro il muro. Questa certezza a sua volta accelera persino il movimento, poiché il capitale finanziario, valutando che il disastro diventa più probabile che non la sua evitazione, investe … nel disastro. Lo notava di recente Bloomberg: prima interessati all’economia verde, i fondi pensione ora se ne ritirano. Commento del sito padronale: «Oggi il denaro intelligente adotta un altro orientamento: partendo dall’ipotesi che il cambiamento climatico è inevitabile, le società di Wall Street investono nei settori che trarranno profitto dal fatto che il pianeta diventa più caldo »
1° gennaio 2014
(1) Economista inglese autore del famoso “Rapporto” sul cambiamento climatico.(NdT)
(*) Articolo pubblicato sotto il titolo «La rentabilité du désastre» in Politique, revue de débats, N° 83, Janvier-.fevrier 2014.

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