mercoledì 21 agosto 2013

CHE SUCCEDE IN EGITTO?


di Jacques Chastaing (da http://npa2009.org/)
Mercoledì 14 agosto il potere ha sgomberato con la forza e con un’estrema violenza le due piazze del Cairo che i Fratelli musulmani occupavano da più di sei settimane. Ci sarebbero stati, nel momento in cui scriviamo questo articolo (venerdì 16), 638 morti e 4000 feriti, secondo il ministero della Salute (molti di più secondo i Fratelli musulmani). La maggioranza delle vittime sono sostenitori di Morsi, sia nelle due piazze della capitale sia in numerose altre città dell’Egitto, dove le manifestazioni dei Fratelli musulmani e dei loro alleati islamisti che denunciavano il potere sono state brutalmente represse dalle forze di polizia.
Per tutta risposta i Fratelli musulmani hanno attaccato numerosi commissariati e sedi dei governatorati, sedi dei partiti laici, ma soprattutto hanno bruciato o saccheggiato molte chiese ed edifici cristiani copti (70 stando al numero fornito dalle autorità copte, tra cui sembra anche scuole e orfanotrofi), oltre che automobili, case, negozi di proprietà di cittadini copti. Tra le vittime dunque ci sarebbero anche una cinquantina di poliziotti e un certo numero di copti, oltre che qualche giornalista.

D’altra parte, contro le violenze dei Fratelli musulmani contro i cristiani e spesso anche contro dei semplici cittadini, si sono anche svolte contromanifestazioni in varie città, in particolare a Suez, dove i movimenti giovanili della città hanno dichiarato un coprifuoco speciale per i Fratelli musulmani, mentre questi ultimi attaccavano i beni dei cittadini, le auto e i negozi.
Con il pretesto de caos il potere ha decretato il coprifuoco e lo stato d’emergenza per un mese, al Cairo e in altri 11 governatorati (su un totale di 18), nominando al comando di questi governatorati un generale in pensione per tutta la durata dello stato di emergenza, pur continuando a sostenere di voler garantire la prosecuzione del processo elettorale previsto per il 2014.
Il vicepresidente El Baradei del FSN si è dimesso per protestare contro la brutalità del potere. Il partito salafista Al Nour, il Movimento 6 aprile (democratici rivoluzionari) e i Socialisti rivoluzionari (trotskisti), oltre che il responsabile di Al Azhar (autorità religiosa musulmana), hanno tutti denunciato le violenze del governo in carica, mentre la grande maggioranza dei partiti (l’opposizione liberale, i democratici, i nasseriani di sinistra…) hanno tutti sostenuto le misure assunte dal governo per evacuare le piazze, al massimo con qualche distinguo sui metodi.
Oggi, venerdì 16 agosto, i Fratelli musulmani fanno appello a nuove manifestazioni per denunciare il regime e le sue violenze, sfidando il coprifuoco (dalle 19,00) per cui la repressione potrebbe essere altrettanto sanguinosa, se non di più (cosa che in effetti è stata, ndt).
Per tentare di comprendere ciò che è accaduto e per farsi un’idea di ciò che potrà accadere, ritorniamo un po’ indietro.

Da giugno 2012 a giugno 2013, crescita del movimento sociale e crescente discredito dei Fratelli musulmani

Un tentativo di colpo di stato militare alla fine del giugno 2012 fallisce di fronte alla minaccia di una rivolta popolare. Lo finalità della manovra era quella di porre fine all’agitazione incessante che scuoteva il paese da gennaio 2011, con manifestazioni, scioperi, occupazioni, sit in, blocchi stradali o ferroviari, blocchi di palazzi governativi, violenti scontri di piazza, ecc… con lo scopo di scacciare tutti i “piccoli Mubaraq” che occupavano posti chiave a tutti i livelli nello stato e nell’economia.
Nel luglio 2012, i Fratelli musulmani vanno al potere con Morsi come presidente eletto in occasione delle elezioni presidenziali. Ma in queste elezioni, al primo turno, i suffragi a favore dei Fratelli musulmani sono letteralmente crollati. Sono i candidati rivoluzionari che ottengono la maggioranza dei voti, in particolare il candidato socialista nasseriano. Ma, divisi come sono, non riescono ad accedere al potere. Al secondo turno, con un’astensione importante e con molti appelli al boicottaggio delle elezioni, Morsi viene eletto, ma soprattutto per assenza di alternative. Gli elettori non hanno votato per lui ma contro il candidato dell’esercito (peraltro al potere dal febbraio 2011). L’esercito, eterno rivale dei Fratelli musulmani (ma anche loro complice contro il popolo) accetta il nuovo potere, a difesa della propria corporazione. I vertici militari stanno al gioco e partecipano al governo con due ministri, mentre i Fratelli musulmani moltiplicano i vantaggi e i gesti in favore dell’esercito. L’esercito vede nei Fratelli musulmani, con i loro due milioni di aderenti, le loro organizzazioni caritatevoli e il loro controllo su di un gran numero di moschee, la sola forza sociale e ideologica capace di opporsi alla rivoluzione montante.
Occorre dire che la situazione economica non migliora, al contrario.
Morsi al governo conduce apertamente una politica filocapitalista e antioperaia. Il suo governo deve allora far fronte a una crescita mai vista di scioperi e di manifestazioni di malcontento di ogni genere. Usa la repressione, con l’aiuto dell’esercito e della polizia, con una violenza pari a quella del governo precedente del CSFA (esercito).
D’improvviso, in un anno di potere, i Fratelli musulmani hanno perso tutto il loro credito. A dicembre del 2012, contro il movimento popolare che nulla ha fermato, Morsi tenta un colpo di forza attribuendosi tutti i poteri. Una sollevazione popolare quasi insurrezionale cerca di farlo cadere. Morsi viene salvato solo grazie al sostegno dell’opposizione del FSN che accetta di stare al gioco di un falso referendum sull’islamizzazione delle istituzioni per sviare il fiume delle piazze e incanalarlo verso una controversia religiosa. Morsi vince il referendum con l’aiuto di brogli notevoli e nel contesto di un’astensione di massa in cui, di fatto, tutti i partiti egiziani istituzionali vengono messi in minoranza dal popolo.
A partire da ciò, le sommosse e le rivolte cominciano a farsi incessanti. Molte sedi del Partito della giustizia e della libertà (il partito dei Fratelli musulmani) vengono incendiate o saccheggiate, in particolare ad opera di settori popolari della cittadinanza.
Nel febbraio-marzo 2013, una sollevazione delle città del canale di Suez, in particolare di Port Said (oltre 600.000 abitanti, ndt), scuote a fondo l’autorità del governo. Morsi decreta il coprifuoco ma nessuno lo rispetta. Port Said è quasi in mano agli insorti. Appaiono embrioni di autorganizzazione. Una parte della polizia scende in sciopero, rifiutandosi di difendere il potere di Morsi, completamente screditato. L’esercito prende le distanze da Morsi e tenta di rifarsi una verginità politica cercando di apparire al di sopra delle parti. Riappaiono anche piccole manifestazioni di nostalgici di Mubaraq.
A marzo, aprile e maggio 2013 le contestazione riparte sul piano economico. Vengono toccati livelli di scioperi e di proteste popolari con pochi paragoni a livello mondiale. Le rivendicazioni sono economiche: salari, occupazione, acqua, elettricità, carburante… Ma, nello stesso tempo, in molti casi, hanno anche un carattere politico. Gli scioperi rivendicano la cacciata dei dirigenti, dei servizi come delle fabbriche. In poche parole, che la rivoluzione che nel 2011 aveva cacciato Mubaraq venga completata con una rivoluzione che cacci tutti gli oppressori,dai capi delle fabbriche ai dirigenti dei servizi ospedalieri, passando per tutti coloro che detengono posti di responsabilità a ogni livello.
In questo quadro di malcontento crescente una campagna di raccolta di firme su una dichiarazione di illegittimità di Morsi, chiamata Tamarod (ribellione) viene lanciata da giovani militanti vicini all’opposizione istituzionale del FSN. La petizione chiede elezioni presidenziali anticipate.

Da 30 giugno al 3 luglio, verso una seconda rivoluzione, questa volta sociale

Nel contesto di scioperi e agitazioni grandiose la petizione ha un successo fuori del comune. Tutti la fanno propria, comitati Tamarod nascono ovunque, spesso nelle fabbriche, e travalicano l’iniziativa e gli obiettivi prefissati. La petizione raccoglie 20 milioni di firme (e Morsi era stato eletto con 13 milioni di voti, molti dei quali per mancanza di alternative).
Per molti l’illegittimità di Morsi significa che deve andarsene subito. Una manifestazione per la consegna delle firme è prevista per il 30 giugno.
Non si sa esattamente quante persone siano scese in piazza quel giorno. Le stime più prudenti sono di 14 milioni di manifestanti. le più alte di 30 milioni. E’ una partecipazione popolare enorme. Chi scioperava nei mesi precedenti è là. Ma i dirigenti di Tamarod vogliono che non ci siano insegne di organizzazione, di partito, di sindacato, di luogo di lavoro. Solo bandiere egiziane o cartelli individuali. Il carattere operaio delle manifestazioni dunque non appare; Una sola parola d’rdine: “Morsi vattene”. La manifestazione dura per 4 giorni, senza indebolirsi. Tutto il popolo è in piazza. Compresi molti che non avevano partecipato a niente fino ad allora. E’ una festa gigantesca.
L’esercito teme allora che il popolo non solo faccia cadere Morsi, che nell’occasione, ottenuto questo risultato, le manifestazioni continuino e che stavolta l’insieme delle rivendicazioni di marzo, aprile e maggio, economiche e politiche, prendano il centro del movimento. Così la proprietà privata e lo stato potrebbero essere direttamente minacciati. E l’esercito per primo, visto che è proprietario di una quota tra il 20 e il 40 % dell’economia.
Il rischio è molto reale anche perché si vanno precisando le voci circa un appello dei sindacati per lo sciopero generale. E’ lo spettro di quanto è accaduto nel gennaio 2011 che risorge. Ma questa seconda rivoluzione sarà sociale.
Chiamato ad intervenire da un certo numero di partiti di opposizione intimoriti dalla piega degli avvenimenti, in particolare dai socialisti nasseriani, l’esercito – attraverso la voce del generale  Al Sissi, ex ministro della difesa di Morsi – pone allora il 1° luglio un ultimatum di 48 ore a Morsi: se ne deve andare e organizzare delle elezioni, altrimenti sarà l’esercito a cacciarlo.
Scoppia la gioia dei manifestanti. L’ostacolo dell’esercito sembra risolto. La gente tira un respiro di sollievo. Non ci sarà un bagno di sangue.
Tuttavia la maggior parte dei manifestanti continua ad occupare le piazze, nutrendo una fiducia limitata nell’esercito e preferendo fare da soli. Tanto più che i Fratelli musulmani non mollano. I loro militanti aggrediscono violentemente i manifestanti facendo numerosi feriti e qualche morto, senza che l’esercito o la polizia intervengano per proteggerli. Si assiste all’apparizione di un certo numero di comitati di autodifesa di quartiere, in differenti città, per proteggersi dalle violenze dei Fratelli musulmani.
Al contrario, la maggioranza dei partiti e dei sindacati di opposizione, sollevati dall’intervento dell’esercito, si precipita a sostenerne le proposta di ultimatum, allineandosi dietro di esso. I dirigenti di Tamarod sono divisi. Esitano per qualche tempo. Alcuni fanno appello ai manifestanti perché siano essi stessi a cacciare Morsi, senza attendere che lo faccia l’esercito., a creare comitati propri e ad andarlo a prendere nel suo palazzo. Ma la maggioranza delle direzione di Tamarod finisce con allinearsi con l’esercito e propone ai manifestanti di attendere che questo stesso faccia il lavoro sporco. Le direzioni sindacali fanno altrettanto e annullano la parola d’ordine di sciopero generale.
A partire da questo momento, sorgono un po’ ovunque e in maniera crescente slogan in favore dell’esercito, appaiono ritratti di Al Sissi, forniti dai militari ma portati dall’opposizione, da sostenitori del PND (il partito di Mubaraq) che approfittano dell’occasione e del carattere “nazionale” delle manifestazioni per tentare di insinuarsi tra la folla, ma anche da manifestanti alle prime esperienze, che non avevano ancora provato la repressione poliziesca o militare.
E’ stato detto che gli egiziani sarebbero volubili, che adoravano ora l’esercito che avevano combattuto solo pochi mesi prima. No, gli egiziani non sono imbecilli. Si tratta piuttosto di tutti i partiti di opposizione, compresa la direzione di Tamarod, che hanno adottato questa politica di sostegno  all’esercito, coinvolgendo così la parte meno cosciente della popolazione. Gli egiziani non stanno con l’esercito così come è stato invece descritto.

Bonapartismo e logica della situazione dopo il 3 luglio 2013

L’esercito arresta Morsi il 3 luglio, assieme a un certo numero di dirigenti dei Fratelli musulmani. L’esercito ha rubato i frutti della rivoluzione ma la gioia esplode tra i manifestanti e si produce una festa permanente nelle piazze per parecchi giorni e per milioni di egiziani. Il primo risultato è raggiunto: Morsi è caduto.
L’esercito allora nomina un governo in cui figurano esponenti dell’opposizione liberale (come El Baradei) e nasseriana, in particolare il ministro del lavoro (ex dirigente del sindacato di opposizione nato dalla rivoluzione del gennaio 2011) con il sostegno di tutta l’opposizione democratica, di Tamarod e di molti altri.
I Fratelli musulmani sono messi di fronte ad una situazione per loro catastrofica. Erano 70 anni che lavoravano per arrivare al potere. E in un solo anno tutto crolla. Come sfuggire al disastro?
Approfittano allora del fatto che non è stata una rivoluzione popolare conseguente che li ha cacciati dal potere ma che è stato un colpo di stato militare, e reclamano la legittimità democratica. “Morsi è stato eletto”, gridano dappertutto.
Archiviato il tentativo di colpo di stato tentato da Morsi a dicembre, dimenticati i brogli spudorati al momento del voto, la partecipazione molto debole, dimenticata la repressione estremamente violenta degli scioperi e delle manifestazioni, i numerosi attentati alle libertà democratiche, le restrizioni ai diritti dei giornalisti, alla giustizia… Dimenticata soprattutto la petizione con i suoi 20 milioni di firme, i 14 (o 30) milioni di egiziani che hanno gridato in piazza per giorni, nel quadro di una democrazia diretta infinitamente più rappresentativa, che non ne volevano più sapere di loro. No, sarebbero loro la vera democrazia, soprattutto quella che vogliono gli occidentali.
Temendo di perdere tutto, il loro apparato non crolla, anzi resiste. Tanto più che ottengono il sostegno totale o parziale di quasi tutti i paesi occidentali.
Non cercano di rivolgersi al popolo egiziano che ha appena dimostrato di non volerne più sapere di loro, ma ai loro prorpi militanti e simpatizzanti, al fine di non perderli. E li chiudono in una bolla, e si chiudono anch’essi con loro. Da una parte li imbevono di informazioni fantasiose, con l’aiuto della stampa occidentale, facendo loro credere di essere a milioni, ma soprattutto che l’islam è minacciato dall’esercito, dai miscredenti e dai cristiani. Dall’altra, moltiplicano l’occupazione delle piazze e le manifestazioni aggressive contro il potere … e contro i cristiani. In questa lotta per la sopravvivenza, ripiegati su se stessi, è probabile che tra i Fratelli musulmani il potere sia passato nelle mani dei più integralisti. Tanto più che l’esercito tenta di farli andare in pezzi giocando sulle loro divisioni interne. La violenza delle loro azioni è sorpassata da quella dell’esercito che non esita, a più riprese, di far tirare nel mucchio, ad uccidere.
L’aggressività e la violenza dei Fratelli musulmani non fermano l’esercito. Anzi, fanno il suo gioco e su due piani.
Da una parte fa sì che i Fratelli più moderati si allontanino dalla loro direzione, tanto che si sono prodotte delle scissioni, dei “Fratelli contro la violenza”. Dall’altra, e soprattutto, questa guerra religiosa contro i cristiani e contro i cittadini che vengono a contatto con le loro manifestazioni permette all’esercito di alzarsi al di sopra delle parti, come un Bonaparte. Più c’è caos, pèiù l’esercito e la polizia possono guadagnarne in legittimità, come garanti dell’ordine, della stabilità e della pace civile. Infine così l’esercito tenta di deviare la collera sociale su obiettivi religiosi.
Così, i due avversari-complici, esercito e Fratelli musulmani, hanno bisogno della violenza dell’altro per assicurarsi il potere, interno per gli uni, o esterno per gli altri. La spirale è innescata.
Ecco perché quando i Fratelli musulmani aggrediscono dei cristiani o, semplicemente, dei cittadini l’esercito lascia fare.
C’è un pericolo per i militari, però, e cioè che i cittadini residenti vicino alle manifestazioni degli islamisti (che a volte si trasformano in attacchi alle chiese, in saccheggi ai negozi anti Morsi, alle auto con adesivi anti Morsi…) o alle piazze occupate (con tanto di spazi trincerati, con posti di blocco, perquisizioni e pestaggi di chi passa) si organizzino da soli per proteggersi, cosa che peraltro fanno spesso. Comunque, le occupazioni delle strade da parte dei Fratelli musulmani non sono tanto numerose da alimentare questo rischio.
Al contrario, l’ostilità popolare verso la politica economica di Morsi che si è fatta sentire tra marzo e giugno e che l’ha fatto cadere, si è spostata contro l’insieme dei Fratelli musulmani nella misura in cui costoro dal 30 giugno in poi hanno moltiplicato le violenze contro gli anti Morsi, i cristiani o i cittadini che risiedono a ridosso delle loro occupazioni e delle loro manifestazioni.
Cosa che ha permesso in questi giorni all’esercito di intervenire per liberare le piazze, provocando un bagno di sangue e proclamando lo stato di emergenza. Ha potuto farlo sapendo che non avrebbe trovato opposizione tra la popolazione, che nel suo insieme dice che i Fratelli musulmani se l’erano proprio andata a cercare.
Si vede con evidenza dove l’esercito vuole andare e dove i Fratelli musulmani sono condotti dalla loro politica: una situazione come nell’Algeria del 1991, quando l’esercito giustificava la propria dittatura con la necessità di combattere il terrorismo islamista e gli islamisti tentavano di recuperare con il loro radicalismo la collera sociale che si esprimeva nelle rivolte popolari per poi cercare di incanalarle dietro le loro parole d’ordine.
Dunque il discredito crescente dei Fratelli musulmani, l’accettazione popolare del loro massacro, significa che la popolazione sostiene l’esercito e si fa trascinare nell’ingranaggio in cui sia i militari che gli islamisti vogliono trascinarla?

Perché la rivoluzione non detto la sua ultima parola

Se il pericolo è reale e il meccanismo dell’ingranaggio è chiaro, siamo ancora lontani dall’essersi innescato tra le classi popolari.
Perché possa innescarsi occorrerebbe che il popolo avesse rinunciato ad ogni speranza rivoluzionaria, che avesse abbandonato la lotta per le proprie rivendicazioni. E che allora, senza più speranze, si allineasse dietro l’uno o l’altro dei due protagonisti istituzionali.
Perché accada ciò, occorrerebbe che fosse stato schiacciato, come era accaduto per la rivolta del popolo algerino. Ma non lo è stato. E’ stato truffato, ingannato, gli è stata rubata la rivoluzione, ma non è stato schiacciato.
E la sua situazione economica è catastrofica. Per quanto truffato e derubato, non ha altra scelta che lottare per la sopravvivenza. Ha fame. E la fame non può aspettare. Anche qui, occorrerebbe che il popolo egiziano fosse stato sconfitto perché non continui la lotta.
Martedì 13 agosto, per la prima volta con questo governo in cui figura, come abbiamo già detto, l’e dirigente del principale sindacato di opposizione, la polizia ha represso un grande sciopero in un’acciaieria di Suez. Ecco il vero obiettivo dell’esercito e del potere; è questo lo scopo del loro stato di emergenza, dei loro attacchi contro i Fratelli musulmani. Limitano le libertà per colpire gli scioperi, attaccare la rivoluzione stessa.
Ma se il potere ha represso uno sciopero, è perché malgrado l’appello del ministro del lavoro a sospendere gli scioperi e a rimboccarsi le maniche per salvare l’economia egiziana, malgrado l’appoggio dell’opposizione politica e sindacale all’esercito, malgrado il conflitto sanguinoso tra l’esercito e i Fratelli musulmani destinato a sviare l’attenzione, ci sono scioperi, per rivendicazioni economiche e, soprattutto, per cacciare i piccoli Mubaraq. E sembra – è difficile avere informazioni al riguardo – che non siano pochi. Alcuni giornali hanno anche parlato di una nuova ondata di scioperi verso la fine di luglio, lungi dai conflitti religiosi nei quali si cerca di incanalarli.
Così, l’indifferenza del popolo egiziano sulla sorte dei Fratelli musulmani è il segno del fatto che le sue preoccupazioni sono altre, più di quanto incida il sostegno all’esercito. Degli striscioni di manifestanti lo dicevano a Al Sissi: tu ci hai sbarazzato di Morsi. Va bene. Ma ora aspettiamo che tu faccia qualche cosa per noi. E presto.
Il popolo, per il momento, lontano dalle manovre degli uni e degli altri, lontano da quello che possono raccontare i giornali e le televisioni, è immerso nei suoi problemi di sopravvivenza quotidiana, sempre nella logica della rivoluzione per “il pane, la giustizia sociale e la libertà” e guarda alla lotta esercito-Fratelli musulmani più come spettatore che come parte in causa.
Ora, se il popolo non rinuncia alla propria indipendenza, non entra nell’ingranaggio della lotta religiosa, mentre i suoi due nemici scontrano. Ciò non fa altro che indebolirli reciprocamente. E’ dunque molto possibile che al momento della prossima ondata di scioperi, si vedano sorgere sempre più numerosi organismi di autorganizzazione.
D’altra parte, è forse per la paura di questi scioperi che l’esercito ha accelerato la sua decisione di sgomberare le piazze occupate dai Fratelli musulmani.
In effetti, nei due anni passati, verso il 15 settembre, al momento della riapertura delle scuole, si sono scatenate importanti ondate di scioperi, iniziate dagli insegnanti, poi dai medici dei servizi pubblici, che sono sempre arrivate vicine a provocare uno sciopero generale. Non si vede perché sarebbe diverso quest’anno. La differenza è che quest’anno il carattere nazionale degli scioperi degli insegnanti e dei medici potrebbe dare il segno unificante politico che la moltitudine di scioperi e proteste di marzo-maggio cercava e che ha creduto di aver trovato nell’iniziativa di Tamarod.
Il potere (e i Fratelli musulmani) lo sa. Ha tempo fino a metà settembre per cercare di trascinare il popolo nell’ingranaggio della sua guerra. Dopo – ma questo può accadere anche prima, perché il popolo egiziano ci ha sorpreso più di una volta – l’esercito e i Fratelli musulmani (riconciliati?) potrebbero non avere più i mezzi per fermare il fiume della rivoluzione.
Potremmo dunque attenderci da qui ad allora un aggravamento delle violenze tra l’esercito e i Fratelli… ma anche molte altre sorprese.
La rivoluzione continua.
Jacques Chastaing (16 agosto 2013)

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