giovedì 12 giugno 2014

STATO SPAGNOLO:GIOCO DI TRONI. ABDICAZIONE E PROCESSI COSTITUENTI.

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Pubblichiamo l’articolo di Josep Maria Antentas, professore di sociologia presso l’Università Autonoma di Barcellona ( UAB ) dapublico.es sull’abdicazione del re Juan Carlos. Non siamo di fronte come spesso è stato scritto ad un semplice passaggio di testimone al terzogenito ma ad una vera e propria crisi di regime politico e istituzionale, ma anche economica. Nel corso della cosiddetta Transizione democratica Juan Carlos si è fatto garante nei vari passaggi degli interessi delle classi dominanti. Dall’annuncio dell’abdicazione migliaia di manifestanti sono scesi in piazza chiedendo la fine della monarchia e del bipartismo e rivendicando un processo costituente che avvii alla nascita di una repubblica che punti alla giustizia sociale. Tra i protagonisti di questi percorsi si trova anche PODEMOS, la grande rivelazione degli ultimi risultati elettorali. ndr.

di Josep Maria Antentas

E’ davvero grave. La crisi politica, innescatasi nel corso di tre anni di rivolta sociale contro le politiche di austerità e dopo lo scoppio del movimento indipendentista catalano, si è trasformata in una vera e propria crisi di regime. Corona, potere giudiziario e bipartitismo, tutti raggiungono livelli di disaffezione senza precedenti. Le recenti elezioni del 25 maggio sono state la prima trasfigurazione elettorale di questa dinamica di crisi politica generalizzata. Esse evidenziano l’inizio della fine del bipartitismo e segnano l’irruzione di quello che sta rapidamente diventando un incubo per il sistema partitico dominante : PODEMOS.
La nave della Transizione è già un vero “Hispanic”. Prende acqua ovunque e naviga in acque piene di insidie ​​e iceberg . Sembra che non comandi il capitano e che il suo equipaggio non abbia le sufficienti competenze per superare tutti gli ostacoli che le si frappongono. Cercheranno, tuttavia, una manovra disperata per correggere la rotta e non bisogna sottovalutarli. Hanno ancora degli spazi di manovra . In mancanza di legittimità, dispongono tuttavia del di tutte le leve del potere economico, istituzionale e dei media . L’insieme dei passeggeri sarà capace di organizzare una ribellione a bordo e prendere il timone della nave per rifondarla completamente? Questa è la domanda .


I grotteschi elogi, che piovono da tutte le parti sull’opera storica di un re in discredito e la preparazione e sulla preparazione e sulla solidità Felipe, sono semplicemente rozzi tentativi volti a scongiurare lo spettro di un reale cambiamento. La transizione di Juan Carlos I a Filippo è un esercizio di gattopardismo politico. Un’operazione di maquillage politico volta a fornire un po’ di ossigeno ad un regime sempre più malconcio. L’abdicazione del re si inscrive con ogni probabilità in una operazione di più ampia portata che ha come scopo di rilegittimare il regime con l’avvio di riforme (costituzionali)insignificanti, ma che possono fornire un po’ ossigeno. Salvare il regime attuale significa disinnescare in qualsiasi modo il processo catalano e mantenere, a tutti i costi, il bipartitismo “PPSOE” . Salvare il PSOE da un suo naufragio è particolarmente vitale per mantenere l’ordine. Se non si risolleverà , la crescita di “Podemos” sarà inarrestabile. Un incubo per loro che stanno in alto, ma un un sogno incredibile e inaspettato per quelli che stanno in basso. Dal momento che i due principali partiti si sono indeboliti,lo spettro di una grande coalizione volta a garantire la governabilità e la stabilità si profila all’orizzonte. Ma questa è solo l’ultima carta che in realtà non farà che allargare la crisi, l’ultima pedina prima di un’uscita autoritaria (la cui realizzazione potrà avere diverse forme) o di una vittoria di una maggioranza politica democratica e avversa all’austerità. Da qui la necessità per loro di smuovere le acque per recuperare una legittimità perduta.
E per queste ragioni che occorre una risposta sociale tanto rapida quanto unitaria, tanto audace quanto concreta. Non è sufficiente un referendum sulla monarchia o la repubblica. La posta in gioco non è solo la forma dello Stato. E’ tutto un sistema politico e sociale che deve essere cambiato. Per questa ragione l’apertura di una dinamica costituente deve essere ora la rivendicazione elementare. In questo quadro, la questione chiave diventa l’articolazione delle aspirazioni democratiche del popolo spagnolo con quelle del popolo catalano, basco e della Galizia. Bisogne evitare un doppio errore simmetrico.
Da un lato, quello di porre, a partire dal centro del paese e in termini unicamente “spagnoli”, la formula di un “processo costituente” al singolare, o la rivendicazione di una III Repubblica come sbocco della situazione attuale . Questa non offre una risposta soddisfacente al processo nazionale catalano e non permette di sfruttare tutte le crepe aperte che permettano una rottura definitiva con la seconda restaurazione della dinastia dei borboni che lotta per la sua sopravvivenza.
D’altra parte, l’altra faccia della medaglia sta nel disinteresse, in Catalogna, della crisi del regime spagnolo e nel limitarsi semplicemente alla ricerca di una mera accumulazione di forze catalane a favore dell’indipendenza. Ciò non permetterebbe di trarre profitto dalle opportunità che offre la crisi politica del regime per il processo catalano né di utilizzare quest’ultimo per infliggere a questo regime un colpo fatidico. Inoltre, in Catalogna saremmo rinchiusi in una logica di unità patriottica sotto l’egemonia, pur brancolante, della Ciu (Convergenza e Unione, partito nazionalista di destra al potere in Catalogna), in cui i diritti sociali verrebbero evaporati con la promessa di una loro affermazione più tardi, in un futuro immaginario. Si tratta , al contrario, di rivendicare la prospettiva di processi costituenti, nazionali, indipendenti , di un nuovo ordine democratico, giusto e solidale.
Poco tempo fa non avremmo mai potuto immaginato quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Nel bene e nel male. Non avremmo mai potuto immaginare l’impatto brutale della crisi sociale, la continua violenza degli sfratti e della disoccupazione di massa, la crisi dei meccanismi di rappresentanza politica democratica, svuotati dall’interno dall’idrovora dell’austerità e degli interessi finanziari. Non avremmo mai nemmeno pensato di intravedere la perdita di legittimità galoppante del sistema politico, il discredito nei confronti delle banche, l’immensa presa di coscienza da parte dei cittadini (contraddittoria, ma reale) della vera natura del modello politico ed economico .
La crisi politica ci obbliga senza indugi a pensare in maniera strategica. E farlo rapidamente. Le opportunità politiche non si offrono gratuitamente e non si ripetono sovente due volte. Il filosofo Daniel Bensaid ha detto che la politica è “l’arte strategica della congiuntura e del momento propizio”. È l’arte di saper trarre profitto da quei rari momenti della storia in cui il terreno si apre sotto i piedi mostrando un abisso che può essere sia oscuro sia splendente, in cui la scala di Richter sociale scuote il sistema politico con una forza sismica senza precedenti. La crisi politica e istituzionale non può essere sempre presente, prima o poi si indirizzerà in una direzione o nell’altra. Essere all’altezza di circostanze che ci oltrepassano è la grande sfida che devono assumere coloro che perseguono l’obiettivo della giustizia sociale.
Ora dobbiamo pensare in grande. Di Pensare a quello che facciamo molto male, a ciò che quasi sempre è stato al di fuori della nostra portata: saper vincere. In altro modo, si tratta di organizzare una maggioranza sociale e politica che si oppone alle politiche di austerità ed è favorevole all’apertura di un processo costituente democratico a partire dal basso. Le brecce nel muro dell’edificio del regime della Transizione si stanno approfondendo. Occorre frapporre i nostri piedi per evitare che la porta si chiuda di nuovo. Con fermezza e coraggio. Non è il momento di essere spettatori passivi di fronte alla crisi politica, né di contentarsi di essere una minoranza senza una reale influenza politica sugli eventi. Sarebbe un errore fatale non osare lottare per lo (im)possibile; agire come di abitudine, continuare nella piacevole routine delle varie organizzazioni e forze; e ancor di più agire timidamente e accontentarsi di coltivare il proprio giardino giardino stesso.
Mai nel recente passato abbiamo avuto così tanti pericoli in agguato; e  mai si erano aperte così tante opportunità. Questa è la contraddizione intrinsecamente lacerante del momento politico attuale e del nostro “Game of Thrones ” particolare . Tutto o niente. Siamo di fronte ad una lotta aperta in cui entrambi i risultati sono possibili. Nello sprofondare verso il baratro non è chiaro chi cadrà giù dal precipizio. O noi o loro . La loro democrazia o la nostra.

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